*di Corrado Poli
Cerchiamo di essere realisti e diciamo che alle elezioni regionali si lotta per il secondo posto. Forse solo per il podio. E per essere ancora più realisti diciamo che nessuno ha un programma vero e proprio, né i candidati a sostituire (si fa per dire) l’attuale presidente, né lo stesso Zaia.
Anzi Zaia un programma non solo non l’ha mai avuto, ma s’è guardato bene persino di pensarlo. Ha gestito quel che capitava nella migliore tradizione dorotea di cui i veneti sono stati maestri da sempre. Forse qualcosa in più si poteva fare, ma sarebbe stato difficile per chiunque redigere un programma su questioni che sono ancora e sempre più decise tutte a Roma. A Venezia si amministrano i dettagli, che a volte sono anche importanti come per le crisi e la sanità; ma la politica veneta è da un quarto di secolo delegata tutta a Roma. E allora, perché privarsi di un buon amministratore come Zaia? Teniamoci questo buon nostromo capace di navigare tra gli scogli sotto riva, ma timoroso, se non proprio terrorizzato, dalla prospettiva di dirigere la prua verso il mare aperto e nuove mete che fuor di metafora sarebbero il distacco dalla Lega nazional-sovranista di Salvini e da Meloni, e farsi leader di una vera iniziativa politica per l’autonomia e il federalismo. Chiedere al Presidente di fare questo, umanamente parlando, sarebbe una crudeltà inaccettabile; ne riceverebbe un trauma psicologico che snaturerebbe una personalità che bene si realizza in quello che finora ha fatto e soprattutto in quello che è riuscito (con successo) a non fare.
Tra le cose che è riuscito a non fare però, ci sta l’unico vero possibile programma elettorale su cui maggioranza e opposizione potrebbero davvero confrontarsi dialetticamente, in contrapposizione, e in questo modo agire entrambe per il bene del Veneto. Si tratta dell’irrisolta questione dell’autonomia e semmai del federalismo. Su questo maggioranza e opposizione, entrambe d’accordo sull’applicazione della legge costituzionale, potrebbero fare a gara a chi forza di più la mano per accelerare i tempi, visto l’inerzia e la inefficacia di Zaia a tre anni da referendum. Ci si potrebbe davvero scontrare non tanto sui contenuti, ma soprattutto sui metodi per ottenerla politicamente e sui principi ideali di una nuova democrazia di cui si sente molto il bisogno in tutta Europa. E da questo scontro nascerebbero una vera maggioranza e una vera opposizione che lottando tra loro, collaborerebbero a sollevare la questione veneta a livello italiano ed europeo. Un’opposizione autonomista seria sarebbe di grande aiuto al Presidente (e a tutto il Veneto) poiché lo costringerebbe a premere sui referenti romani sia quelli dell’attuale governo sia del suo partito, solo a parole federalista, ma nei fatti il più centralista di tutti. Certo che così Zaia dovrebbe assumere quell’iniziativa politica a cui è allergico: ma non serve a questo l’opposizione? Non è questo il mandato che Zaia ha ricevuto dai veneti? Non è questo che in (molto piccola) parte giustifica persino il pastrocchio del terzo mandato, formalmente (quasi) ineccepibile, ma di fatto scorretto ai limiti del ridicolo? Come si fa a promuovere e approvare una legge contro il terzo mandato e poi candidarsi per la terza volta?
Al momento delle elezioni saranno passati tre anni dal referendum che ha visto i veneti votare in massa e in modo plebiscitario a favore di una maggiore autonomia. Tutti i veneti, non solo i leghisti e gli indipendentisti! Questo grande successo referendario dell’autonomismo ha vinto clamorosamente nonostante il tentativo maldestro di una buona parte del PD e della sinistra di boicottare la partecipazione. Eppure, non s’è fatto alcun vero passo avanti verso l’autonomia poiché il Presidente e il suo partito sono bloccati dai nazional-sovranisti che su questo tema vanno d’amore e d’accordo con il centralismo del PD e di altre forze politiche radicate nei ministeri romani. E qui arriviamo alle note dolenti. Purtroppo, la coalizione di centrosinistra, nonostante sia priva di programmi e idee concretamente proponibili – sia per colpa propria sia a causa della dipendenza da Roma – non riesce a esprimersi nemmeno sulla mancata attuazione del dettato costituzionale in materia di autonomia. Anzi, per differenziarsi dalla Lega e da Zaia, contesta pregiudizialmente l’autonomia senza accorgersi di fare un altro dei tanti piaceri che negli ultimi venticinque anni ha regolarmente reso al governo regionale collaborando alla decadenza morale e politica del Veneto.
Decadenza anche economica perché ci si aspetta che gli imprenditori veneti siano capaci di sostenere quelle candidature davvero autonomiste che consentirebbero al Veneto di liberarsi di una buona parte della burocrazia romana che tanto detestano a parole, ma che alcuni usano come alibi per la loro mancanza di iniziativa. L’imprenditoria e la cultura venete, che un tempo furono anche autonomiste e federaliste, oggi passano il tempo a implorare lo Stato di riformarsi astrattamente e senza convinzione ispirandosi ormai alla peggiore tradizione di quel meridionalismo piagnucoloso e querulo che un tempo giustamente contestavano. A loro va bene l’attuale presidente: non sia mai che si cambi qualcosa: “il meglio è nemico del bene”; “Mota quietare, quieta non movère” sarebbero gli slogan più adatti a quel pensionato per anziani che rischia di diventare tutto il Veneto dopo queste elezioni. A meno che non emerga una vera opposizione di cui il primo a beneficiarne sarebbe proprio il Presidente che si avvia trionfalmente verso il suo terzo mandato… per mancanza di oppositori.