Condividiamo di seguito il pensiero scritto dalla nostra presidente, Simonetta Rubinato, in occasione delle celebrazioni per il 25 Aprile.
“IL LASCITO PIÙ VERO DEL 25 APRILE È IL VALORE UNIVERSALE DELLA LIBERTÀ E DELLA DEMOCRAZIA, IN CUI NESSUNO PUÒ ARROGARSI IL MONOPOLIO DELLA VERITÀ.
Le polemiche ideologiche brandite dalle forze politiche anche quest’anno non sorprendono, purtroppo. E’ dal 1948 che il 25 aprile non è memoria “condivisa”, come ha ricostruito qualche giorno fa lo storico Giovanni Belardelli sul Foglio.
La Resistenza è infatti una storia mal spiegata, mal raccontata e volutamente deformata, come ha scritto qualche anno fa Gianluigi Da Rold, ricordando un’intervista in cui lo storico Renzo De Felice, a un certo punto, fece questa domanda: “Pizzoni, chi era costui?” In effetti chi lo ha mai studiato o ricordato durante le celebrazioni ufficiali? Eppure era il capo della Resistenza, del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, che combatteva contro il fascismo. Era un antifascista che non apparteneva ad alcun partito e quindi fu sostituito il 27 aprile del 1945, a Liberazione conclusa, nonostante i suoi meriti storici, come quello di aver cancellato le diffidenze degli Alleati che risalivano la penisola nell’autunno 1944, gestendo il momento più delicato della guerra e della Resistenza. “Gli sconfitti hanno lasciato ai vincitori un frutto avvelenato: una mentalità autoritaria che annulla ogni diversità, che non si preoccupa di rispettare le vicende della storia“: così commentò De Felice la sua damnatio memoriae. “Guai a dimenticare che il fascismo alleato con il nazismo aveva disonorato il nostro paese agli occhi delle nazioni più civili e che è toccato ai partigiani uniti nella Resistenza, agli antifascisti alleati in uno sforzo comune nel Comitato di liberazione, restituirgli l’onore e la libertà” (Norberto Bobbio).
Il 25 aprile rappresenta l’antitesi radicale tra dittatura e democrazia, tra democrazia e ogni forma di totalitarismo. La Liberazione, che costò indicibili sofferenze, sangue e morte di partigiani e civili innocenti, rappresenta dunque il valore universale della democrazia. Non dell’antifascismo, che valore universale non è: dopo la fine del comunismo sappiamo che “antifascista” non equivale a “democratico”, perché non tutti gli antifascisti furono democratici, mentre tutti i democratici furono antifascisti, come ha ricordato Antonio Polito in un efficace intervento sul Corsera di ieri. Così come non lo è oggi chi ha invaso l’Ucraina in nome dell’antifascismo.
Guai a dimenticarlo, soprattutto di fronte ai giovani che non sanno e non sempre vengono aiutati a saperlo. Guai se a dimenticarlo, o peggio a distorcerlo, è chi rappresenta i cittadini nelle Istituzioni repubblicane. La seconda carica della Repubblica non può per recondite ragioni identitarie sostenere che la Costituzione non nomina mai l’antifascismo, perché ciò equivale a disconoscere i valori democratici fondamentali di libertà, eguaglianza ed autogoverno delle Comunità alla base della nostra Carta, nata proprio grazie alla liberazione dal nazifascismo da parte degli Alleati e degli uomini e donne della Resistenza.
Ma anche chi da sinistra ha lanciato nei mesi scorsi l’allarme del presunto pericolo fascista con la vittoria del centrodestra e rivendica il monopolio sulla Resistenza in realtà ne sta tradendo i valori. Perché essere democratici significa saper accettare che la democrazia è fatta anche di differenze, che nessuna maggioranza è più o meno “legittima” rispetto alle altre in quanto espressione della sovranità popolare, che la stessa maggioranza ha tuttavia l’obbligo di tener conto delle aspirazioni democratiche delle minoranze, non solo politiche, ma anche sociali, etniche e territoriali. Nessuno in una democrazia ha infatti il monopolio della verità ed il sistema democratico si basa sulla convinzione che nel confronto politico delle idee le migliori soluzioni ai problemi pubblici prevarranno.
E qui non posso non constatare tristemente come la legittima, maggioritaria e trasversale volontà espressa dai cittadini del Veneto nel referendum del 2017, in cui hanno chiesto il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia in linea con l’art. 5 della Costituzione, è a tutt’oggi disattesa e contrastata dagli apparati centrali e gran parte delle classi dirigenti, che strumentalmente l’additano di egoistica divisione del Paese tra ricchi e poveri per delegittimarla. Un cattivo segnale questo per il tasso di democraticità attuale dell’Italia.
La scelta tra un sistema centralista giacobino e omologante e una democrazia davvero plurale e federale, che attraverso la partecipazione dei cittadini nell’autogoverno delle comunità locali e regionali riabiliti ‘l’esperienza personale di uomini e donne come misura prima delle cose superando la politica degli apparati‘ (V. Havel), ci sembra oggi una giusta battaglia di libertà in cui continuare ad impegnarsi”.