Unesco e prosecco, battaglia vinta. Ma su ambiente e agricoltura ora son dolori

Il difficile viene adesso: il Veneto ha smantellato i parchi regionali e le filiere brevi a discapito di quelle industriali

di Corrado Poli

Quando si parla di Waterloo ci viene in mente il grande sconfitto e nessuno ricorda il vincitore, per la cronaca Lord Wellington. Va ammesso tuttavia che questa negligenza nei suoi confronti un poco se l’è cercata a causa del suo scetticismo espresso dalla famosa deprimente affermazione: «La cosa più difficile da gestire dopo una battaglia persa è una battaglia vinta». Le colline trevigiane del prosecco sono state ufficialmente riconosciute “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco e di questo noi veneti andiamo tutti giustamente fieri. Non importa se si tratta di un paesaggio agrario che di tradizionale ha poco, ma che è stato ricreato da qualche decennio con la monocultura di vigneti che fatturano milioni. Questo significa che anche oggi si possono fare cose egregie trasformando il paesaggio fino a farlo diventare patrimonio dell’umanità.

E se questa certificazione favorisce anche gli affari è un fatto positivo per quanto c’entri poco con l’eredità storico-geografica e il “cultural heritage”. Sono andato a rivedere l’opera del Sestini sul paesaggio agrario italiano del 1961 e le fotografie provano come la grande trasformazione non abbia risparmiato le colline del prosecco. Le ha radicalmente trasformate: certo meglio questa trasformazione che capannoni e discusse autostrade imbottite di rifiuti tossici. A proposito di inquinamento, la grande sfida delle colline del prosecco sarà quella ambientale. Se la polemica sulla “novità” del paesaggio agrario anziché della sua conservazione è superabile, quella della tutela dell’ambiente richiede una gestione accorta dell’area su cui l’Unesco, le istituzioni regionali che ne hanno promosso la certificazione, e i Comuni devono vigilare con rigore. Non possiamo accettare un uso indiscriminato di prodotti chimici, né possiamo pensare a costruire nuovi insediamenti nell’area che dovrebbe ricevere garanzie di tutela superiore.

Purtroppo, la Regione Veneto negli ultimi anni s’è distinta nello smantellamento sistematico e graduale dei Parchi regionali senza che nemmeno dall’opposizione si levassero voci forti. Hanno tutti di fatto taciuto e solo vecchi e inefficaci ambientalisti, lamentosi e giurati alla sconfitta, hanno cercato di dire qualcosa venendo bellamente ignorati. Con loro inconscia soddisfazione, peraltro, così da potere continuare a sentirsi vittime o profeti inascoltati. L’altra contraddizione che il riconoscimento Unesco richiede di gestire è l’agricoltura a chilometro 0. Pur non sottovalutando la passione dei veneti per il vino, sarebbe davvero troppo pensare che la produzione di prosecco possa essere consumata nel solo circondario. Si tratta ormai di una coltura industriale e va senza dubbio mantenuta e valorizzata. Allo stesso tempo deve essere considerata un’eccezione a una politica che favorisca la creazione di filiere agricole brevi e la genuinità delle produzioni.

La battaglia vinta per la certificazione Unesco delle colline del prosecco va quindi gestita superando alcune contraddizioni e valorizzando la qualità dei prodotti, la bellezza di un ambiente di recente realizzazione e va inserita in una politica del territorio e dell’agricoltura coerenti. Per ora s’è fatto solo un primo piccolo passo.

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