Sanità: grave errore depotenziare i sistemi sanitari regionali che funzionano

*di Simonetta Rubinato

Come l’emergenza per la crisi finanziaria del 2008-2011 ha dato il ‘la’ alla ricentralizzazione di ingenti risorse fiscali dai territori allo Stato, così l’emergenza per il rischio del contagio da Coronavirus è oggi invocata da molti come motivo per ricentralizzare la sanità. Ma come le politiche neocentraliste di finanza pubblica dal 2010 in poi hanno impoverito i territori con tagli lineari alla spesa pubblica di decine di miliardi di euro a carico degli Enti locali senza riuscire a controllare la spesa statale, inducendo anzi un aumento del debito pubblico, così depotenziare i sistemi sanitari regionali che funzionano (e che lo hanno dimostrato anche in questa occasione grazie all’abnegazione di operatori sanitari e dirigenti in prima linea, che nulla c’entrano con le infelici uscite dei Presidenti Fontana e Zaia) a favore di una ricentralizzazione ministeriale, oltre a non corrispondere alla Costituzione, non migliorerà l’efficienza del Sistema Sanitario Nazionale. O ci siamo forse dimenticati che quest’ultimo rispetto al 2010 ha perso oltre 40 mila dipendenti a causa dei tetti di spesa sul personale sanitario imposti dallo Stato alle Regioni e che nei prossimi dieci anni verranno meno oltre 47 mila medici del SSN e 22 mila medici di medicina generale per pensionamento a causa dell‘errata programmazione a livello centrale delle borse per le specializzazioni dei medici? E Quota 100 ha aggravato la situazione.

Poi arriva l’emergenza e si scopre che non ci sono medici specialisti o che ci sono pochi posti letto (il rapporto posti letto per mille abitanti in Italia rispetto alla Germania è di quasi un terzo: 3/8) e qualcuno chiede di fermare la richiesta di autonomia differenziata avanzata proprio dalle Regioni oggi più colpite, colpevoli di aver raggiunto gli obiettivi di contenimento della spesa corrente assegnati negli anni dallo Stato, pur assicurando i Lea ed accogliendo pazienti provenienti da altre zone del Paese. Va anche ricordato che sempre il Governo centrale ha da ultimo impugnato le norme approvate (prima dell’emergenza da Coronavirus) dalla Regione Veneto per tamponare la carenza di medici ed operatori sanitari ormai insostenibile. 

A chi addebita ad un eccesso dei poteri delle Regioni le disuguaglianze nella tutela della salute subite dai cittadini lungo lo Stivale, va ribadito che ciò non dipende dalle norme costituzionali di legislazione concorrente, ma dalla mancanza di un serio ed effettivo coordinamento da parte dello Stato. Ricordo che con gli interventi di manovra di finanza pubblica succedutisi dal 2015 ad oggi il settore sanitario è stato definanziato per oltre 33 miliardi di euro (pur ampliando i Lea), che non si interviene con adeguati poteri sostituivi nelle Regioni che non garantiscono i Livelli essenziali di assistenza, che non si investe a sufficienza non solo sul personale, ma anche nell’ammodernamento strutturale e tecnologico, che si destina solo lo 0,1% del Fondo sanitario nazionale alla ricerca. Del resto è sotto gli occhi di tutti come hanno funzionato le direttive nazionali nell’attuale emergenza.

Non c’è dunque bisogno di ricentralizzare le competenze in materia di sanità: lo Stato ha già il controllo sulla realizzazione a livello locale del diritto alla salute (art. 117, lett. m, Cost.), come pure sono esclusivamente dello Stato le competenze in tema di profilassi internazionale (art. 117, lett. q, Cost.) e di coordinamento della finanza pubblica. Basta solo che le eserciti come si deve. 

Ps: il video dell’Istituto Luce sull’epidemia di influenza Hong Kong arrivata nel dicembre del ’69 in Italia, che contò 13 milioni di contagiati e 5mila deceduti, risale al gennaio 1970. Le Regioni ordinarie allora non erano ancora state istituite.

Tabella estratta dal 5° rapporto della Ragioneria dello Stato sul monitoraggio della spesa sanitaria 

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